Attualità
Anche a Londra staccano la spina. (Ma non quella della birra).
Ma Londra non era la capitale della tecnologia? Sì, certo, ma a volte la troppa tecnologia li frega. Almeno noi continuiamo ad arrangiarci con le tecnologie elementari, con la carta, i fax, i pizzini e i papelli. Persino con i gesti. E con qualche risata.
A volte non vi capita di sentirvi un po’ fuori tempo, diciamo non sincronizzati? A me sì, succede. Per esempio, il primo disco che ho comprato era un vinile, quando il vinile non si vendeva più (la produzione su larga scala era cessata praticamente quando sono nato). E siccome quel disco era London Calling dei Clash (anche qui fuori tempo, perché era uscito dieci anni prima che nascessi, ma che ci posso fare), a me la curiosità di Guns of Brixton è rimasta come un prurito sulla pelle, e da bravo baloss me la sono portata avanti. Così quando mi sono trasferito a Londra, una delle prime cose che ho fatto è stato un giro a sud del Tamigi, a Brixton.
Brixton è una zona popolare, multietnica ma con un sapore dominante, quello afro-caribbean, giamaicano. È un posto dove si fa vita notturna e molta musica, e per questo mi è piaciuta subito: musica dal vivo, porte aperte, colore, ritmo, cibo, giovani. Chi dice che è il Bronx di Londra capisce poco: di brutta gente ce n’è un po’ in tutto il mondo, gli ubriachi basta scansarli. Però, siccome è abbastanza lontana da Shoreditch, la zona in cui abito e lavoro, ci vado poche volte. Anzi sempre meno. Ci vado ormai così poco che l’altro sabato mi son detto: quasi quasi vado a Brixton. Ideona. Così ho telefonato a degli amici, c’era anche la mia ragazza, e ci siamo organizzati lì per la serata. Ottimo tempismo. Perché, quel sabato, era proprio quel sabato lì.
Che sabato era? Quello di cui avete sentito parlare tutti anche in Italia, nelle tv e nei giornali, nelle cronache di questo tipo: “La notte più lunga, a Londra, è iniziata alle 22,08 di sabato 3 giugno, quando un pulmino ha investito su London Bridge – ponte simbolo della città – diversi pedoni. Ne sono poi usciti tre aggressori che hanno accoltellato altri passanti, colpendoli «in nome di Allah». Pochi minuti dopo nella zona di Borough Market, a sud del Tamigi, lo stesso commando ha continuato la sua azione prima di cadere sotto i colpi della polizia. I morti del duplice attacco sono sette, i feriti almeno una quarantina, ricoverati in sei ospedali cittadini”.
Voi ne avete sentito parlare; noi, che a quell’ora stavamo a cazzeggiare in un club a sud del Tamigi, invece no. Sinché a un certo punto, anzi a un certo minuto, cominciano a squillare i telefoni, quasi in sintonia. Ci guardiamo perplessi, qualcuno comincia a rispondere alle telefonate e ai messaggi: come stai, tutto bene, ti è successo qualcosa, dove sei? Erano amici, parenti, fidanzati e fidanzate che chiedevano notizie. E lì abbiamo cominciato a capire che era successo qualcosa di grave. Tanto che dopo anch’io, per scrupolo, ho mandato un messaggio a mia madre in Italia: “Sono vivo”. Giusto per evitare preventivamente varie & eventuali.
Musica dal vivo a The Effra Hall. Il locale si trova a Brixton in una palazzina con esterni old fashioned. Ma all’interno l’atmosfera è coinvolgente e informale. Si può mangiare anche cucina caraibica, ma niente di speciale. Frequentato dai locali, non è un posto per i fighetta. Durante la giornata si può vedere football in tutte le salse. Di notte si fa musica dal vivo tra la gente, senza palco: ska, reggae e jazz. È il pub londinese preferito da Jessie Ware, ma è un giudizio molto partigiano perché lei è del south-west London. Poco pubblicizzato, noi ci siamo arrivati col passaparola.
Ecco, quando si dice il tempismo. Erano secoli che non andavo a Brixton, e doveva capitare proprio quel sabato. Anche perché ci trovavamo a due fermate dal luogo della mattanza, e lì dovevamo passare per tornare a casa, attraversando il fiume. Il London Bridge era chiuso al traffico e così altre strade. La tube era impossibile, il bus non andava oltre (non ci dicevano perché, top secret, ed è a quel punto che abbiamo capito che più avanti forse c’era qualche “problema”, così lo chiamava l’autista), Uber era occupatissimo e chiedeva più del doppio (c’è stata una polemica per questo, Uber ha dato colpa a un algoritmo, e comunque dopo ha restituito la cresta con molte scuse). Non sto a raccontare come ce l’abbiamo fatta, diciamo che è stato faticoso, ma ci siamo armati di pazienza, che a Londra funziona il più delle volte. Ma quello che voglio dire, è qualcosa sulla compostezza degli inglesi: paura, ma niente panico. Il panico semmai era l’incredibile follia collettiva di piazza san Carlo a Torino dove migliaia di tifosi rischiavano di massacrarsi nella calca per niente, dissanguati (1500 medicalizzati) dal tappeto dei cocci di migliaia di bottiglie di birra spaccate per terra; per vedere la finale in Champions League della Juve da un maxi schermo, poi, sai che figata. A Londra no, a parte i morti veri che, contrariamente a quello che succede ai protagonisti delle nostre opere buffe, non si alzeranno più dal palco.
Era una follia circoscritta, chiamiamola così. E se di quella notte voglio ricordare qualcosa, preferisco un’immagine innocente: l’inquadratura statica alla Jarmusch (esilarante? tragica? consolatoria? non so come chiamarla) di un tizio che andava barcollando per strada davanti a noi, incurante degli accadimenti, completamente ubriaco, che avanzava così lentamente che sembrava immobile con la sua birra in mano. Non la perdeva di vista, non si staccava, la curava come un figlio, cercava di non perdere neanche una goccia, fissava il bicchiere e la strada come se prendesse la mira, con uno sguardo liquido ma così intenso che a un certo punto mi ha pure commosso, lui e la sua birra: that’s amore! Tutti ci diamo degli obiettivi: il suo, in quel momento, era salvare la sua birra alla spina che portava via dal locale. Era la sua mission.
Gli inglesi sono formidabili. A fasi alterne mi sembrano ignoranti, antipatici, insopportabili, con quella loro ironia che ci annaffi soltanto i cactus, però quando sono così stoici resilienti pragmatici li rivaluto in un attimo. E sono pure comici, anche se il più delle volte neanche lo sanno. Esempio. Non so se avete seguito la storia di British Airways che blocca voli, call center, sito e app, a causa di un “guasto al sistema informatico”, con migliaia di passeggeri inferociti bloccati negli aeroporti di Heathrow e Gatwick. Una situazione pazzesca gestita malissimo. Le uniche informazioni che davano: “We apologise for the current IT systems outage. We are working to resolve the problem as quickly as possible”. E avanti così per tutto il Bank Holiday weekend sinché gli si è incantato il disco.
Ma Londra non era la capitale della tecnologia? Beh, viene da dire, allora è proprio questo che la frega. Almeno noi continuiamo ad arrangiarci con la carta, con i fax, con i pizzini. Toh, persino con i gesti. E questi invece che fanno? Fanno i furbi. Dopo aver licenziato una marea di impiegati del reparto informatico, ha delocalizzato in India. Ed ha accuratamente disinvestito nel sistema di supporto in caso di guasti. Così, quando c’è stato il problema, British Airways è venuta giù dal pero. Non sapeva più che fare.
E allora, direte voi, dove sta la comicità inconsapevole degli inglesi? Nella seconda parte (della storia), che la fine è sempre la parte migliore, come il cioccolato fondente nel cornetto. È stato il Times di Murdoch a raccontarla: tutto sarebbe nato da un “errore umano”, un manutentore che ha staccato la spina, che ha tolto la corrente. Proprio così. Però switched off the power supply, l’espressione usata da British Airways, non è prevista nell’informatica, è più un termine casalingo, e se è “tecnico” è piuttosto da Radio Elettra, di quelli che fanno i corsi di impiantistica ed elettronica a distanza. Perciò: ma voi ci credete a uno che spegne la luce e manda in crisi tutto un sistema così complesso per aver staccato una spina? Oppure, non è che spegnere la luce rientrava nel culmine di una inconfessata strategia del risparmio, con la British Airways che si butta nel low cost a cominciare dalla bolletta? Mah. Più che una cosa da ridere, sembra una cosa da piangere. Anche perché a ridere, e a far ridere, diciamola tutta, modestamente non ci batte nessuno.
Giugno 2017