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Industria, pubblicità e innovazione tecnologica: sempre più mobile. E in Italia? È notte fonda.

Lunedì mattina. A Londra c’è vento e una pioggia debole. Grigio un po’ triste, ma, grazie al vento, in movimento. Insomma, non è stormy monday. Diciamo, un blue monday. Per dirla in musica, più Fats Domino che T-Bone Walker.

Ho dato uno sguardo al Corriere online. La home page aveva una skin invasiva (non conosco una persona che parli bene delle skin, e mi chiedo perché gli utenti pubblicitari italiani continuino a usarle) con due ragazzi tristi, un po’ rigidi, quelli delle pose così “naturali” da bastone da golf a cui ci ha abituato la comunicazione secondo i codici e i modelli fissi del lusso e del fashion, così tristi che un sorriso da bambini non lo facevano neanche se al compleanno gli regalavi la Porsche Macan piena di kinder bueno. Immagino che, a diventare così altezzosi, l’abbiano imparato sui tornanti oltre i mille metri, da Cortina in su. Insomma li guardo, li osservo, mi sforzo, ma quel poco che mi viene in mente è soltanto una vignetta sui bambini ricchi di Altan. Bambino: “Giochiamo a chi sputa più lontano?”. Bambina: “Su chi?”.

Ecco, le solite immagini stereotipate. Inutile ricamarci sopra e farne un trattato. Ma, riflettendo sul fatto che fuori è grigio, a Londra, però mi dicono anche a Milano (perturbazione di origine africana, insomma scirocco), c’è una cosa che mi ha colpito nei due giovani modelli: gli occhiali da sole. E il ragazzo aveva una specie di cerata addosso, gialla, come la bambina di Barilla che nel 1986 tarda a ritornare a casa perché strada facendo si ferma a raccogliere un gattino. Guarda un po’ come sono cambiati i giovani in questi ultimi trent’anni. Nel 1986 non ero neanche nato, allora salvavano i gattini all’uscita da scuola, adesso non ridono più e portano gli occhiali da sole quando piove.

Gli occhiali da sole. Ma sarà vero che fanno le donne e gli uomini più misteriosi e intriganti? Con gli occhiali siamo tutti tipi da vacanze esotiche, ricchi e famosi? Non so che dire. Mi arrendo. Alzo bandiera bianca. Come Battiato quando cantava: C’è chi mette gli occhiali da sole / per avere più carisma e sintomatico mistero.

Mistero? A dirla tutta, guardando quella skin sul Corriere, ho pensato a Totò in Questa è la vita, quando impersonava Rosario Chiarchiaro, lo iettatore: che gli occhiali da sole non li toglieva neanche a notte fonda.

 

E dopo il post, la postilla

Per carità, nessuna polemica, anzi non ho dati certi sulle skin. So che, in generale, i banner hanno un CTR (click-through rate, ovvero la percentuale di click) molto basso: zero virgola qualcosa. Vuol dire che gli utenti che cliccano sono 0.15%, 0.20% se ti va bene. Ma ci sono delle alternative che non ricalchino le caratteristiche più antipatiche dei banner, cioè la loro invadenza?

Il problema dei banner e delle loro possibili alternative non si risolve in un post sul blog. Ci stanno lavorando da anni. Il Corriere della Sera, per esempio, sta facendo quello che penso sia giusto e corretto per i giornali online (ma se questo limiterà l’invasione dei banner, ancora non lo sappiamo): far pagare chi legge dopo un tot di articoli (credo una decina, ma non vorrei sbagliare).

E nel mobile? Sul mobile non esistono le skin (per forza, non c’è spazio). Ma questo non vuol dire che sia meglio o peggio. Però nel mobile ci sono dei modi per rendere le pubblicità più dinamiche e interattive. Nell’agenzia in cui lavoro a Londra, studiamo diversi, diciamo, formati; anche se non sono dei veri e propri formati – per formati nel settore media si intende appunto il formato skin, box, skyscraper, etc. Perciò, più che parlare di formati, da noi si parla di products. Faccio qualche esempio veloce.

1) Con un banner posso invitarti a creare o vivere un’esperienza diversa: non guardo solo due manichini (come i giovani modelli di cui si parlava sopra) con l’impermeabile, ma posso cambiargli l’outfit, ad esempio. Oppure posso vederli in 3D. Oppure posso fare due mini game: che so, se muovi il tuo telefono, gli omini ballano e ti fanno capire quanto questi impermeabili siano elastici e comodi, tanto che con quell’impermeabile addosso ci puoi persino ballare.

2) Banner che hanno lo scopo di localizzare l’utente e offrirgli un contenuto interessante, personalizzato, tagliato su misura per lui. Per esempio, se so che tu in pausa pranzo mangi sempre in piazzale Dateo, ti posso far veder un banner che ti dice: hey, perché non provi questo nuovo ristorante che ha appena aperto in via dei Mille? Altro esempio: sei in giro, piove improvvisamente (governo ladro!) e sei un fashion addicted? Ti faccio vedere il negozio Moncler con i giubbotti gialli, e ti faccio vedere anche come ci si arriva in fretta (mappa con percorso disegnato).

3) Banner su mobile che hanno l’obiettivo di coinvolgere (e dico coinvolgere perché mi rifiuto di dire, come fa il 90 per cento dei colleghi, “ingaggiare”) gli utenti attraverso delle piccole esperienze: per esempio, apri il banner e scopri un mini sito, video, contenuti, gallerie di prodotti, quiz, tool, ecc. E tutto questo con la possibilità di condividere, e quindi di amplificare il messaggio.

Bene. Direte voi: e con questo, che vuoi dire? Semplice. Che se un’azienda è dinamica, offre qualcosa di nuovo, è innovativa, è persino figa, o ganza, come direbbe il noto statista di Rignano sull’Arno, lo si capisce dalla pubblicità, dai mezzi, dalla tecnologia. Oggi, molto più di ieri. Ma le aziende italiane, gli investitori pubblicitari, lo sanno? Beh, questo, al momento, mi sembra il vero problema.

Approfondimenti

“It’s clear that the younger consumer engages with us predominately over the mobile device,” Adidas Chief Executive Kasper Rorsted told CNBC. “Digital engagement is key for us,” he said.
http://www.cnbc.com/2017/03/15/adidas-steps-away-from-tv-advertising-as-it-targets-4-billion-growth.html

“How do you plan your mobile future? Many media entities today are still in the early stages of mastering the mobile platform, but as globalisation and continued advancements in mobile technology and apps begin to change the mobile arena, marketers need to begin thinking strategically on a global scale. As the mobile device is now central and essential to the modern day consumer, marketers, businesses and brands must begin planning now in order to stay up-to-date and ahead of the game”. Stato dell’arte delle nuove tecnologie in The Guardian Stage dedicato al mobile (The global mobile strategy), con grandi esperti digital e mobile: Steve Filler del Telegraph, Shan Handerson di Yahoo, Ben Rickard di MEC, Victoria Havens di Adidas, e uno dei miei capi, Greg Grimmer di Fetch.
http://europe.advertisingweek.com/replay/-global-mobile-seminar-2017-03-20-1700

Febbraio 2017


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